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3. MANIFESTO DEL FUTURISMO SMODATO - 11/11/2011
"L'umanita' cammina verso
l'individualismo anarchico..."
F. T. Marinetti
Exordium
Oggi, 11/11/11, quando il numero sacro del futurismo si presenta in forma una e trina, quando il numero bicornuto venerato da FT Marinetti colora di rosso incandescente i nostri calendari, quando il numero che supera il sistema decimale delle dieci dita e delle limitazioni umane accompagna il sorgere del sole novembrino nell'anarchica e illogica estate di San Martino, noi futuristi del XXI secolo ci accingiamo a pubblicare il centoundicimilacentounesimo manifesto futurista: il Manifesto del futurismo smodato!
Pars destruens
Sull'onda del centenario della fondazione, si fa un gran parlare di futurismo, ma il termine è usato troppo spesso a sproposito, ai limiti dello stupro linguistico. In tale situazione, non è azzardato parlare di usurpazione.
Un partito decide di chiamarsi “Futuro e libertà”, i suoi militanti si definiscono “futuristi”, la loro fondazione si chiama “Farefuturo” e il loro giornale di partito “Il futurista”. Riconosciamo che tanta attenzione a nomi e simboli che ci sono cari ci lusinga. Riconosciamo che, a riguardo di alcune questioni bioetiche, il neonato e soltanto sedicente partito “futurista” ha con noi qualche punto in comune. Il suo capo votò “sì” ai referendum sulla fecondazione artificiale e la clonazione terapeutica. Ma questo è tutto quanto possiamo riconoscere. Il resto è tristezza. Può un partito che si richiama nominalmente e simbolicamente al “futurismo” schierarsi strategicamente con il centro moderato cattolico? Può un partito “futurista” essere impegnato, tranne qualche frangia, a chiamare a raccolta tutti i benpensanti, i perbenisti, e coloro che pensano che la political correctness sia un totem e l’autodeterminazione un tabù?
Non bastasse “Futuro e libertà”, è in circolazione anche “Libertà e futuro”. Attenzione! Non è una patacca. È un’associazione politica, una lista civica, un movimento nato ancora prima del partito scissionista della destra, e proprio in concomitanza con il centenario del Futurismo. Peccato che – come il quasi omonimo partito politico – non mostri alcuno slancio rivoluzionario, avanguardista, prometeico. Del resto, è noto che invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia.
Oltre ai politici di professione, ci sono politici per missione. Un industriale aristocratico ha chiamato la propria fondazione “Italia futura”, una fondazione che si è dotata di sedi territoriali e assomiglia ormai a un vero e proprio partito. Un giorno sì e un giorno anche, il nostro minaccia di entrare in politica. Certo, questo imprenditore ha dei meriti che gli debbono essere riconosciuti: ha dato lustro alla tecnologia e all’ingegno italiano nel mondo. FT Marinetti non sarebbe forse fiero dei suoi bolidi rossi, considerando che il rosso è il colore del futurismo e la velocità la sua religione? Non sarebbe fiero di questi gioielli della meccanica che portano l’emblema dell’eroico aeroartista Francesco Baracca? Ma, anche in questo caso, il riconoscimento deve fermarsi qui. L’industriale in questione, tirato per la giacca da destra e da manca come salvatore della Patria, minaccia di scendere nell’arena politica… Bene! Bravo! Con chi? Con il centro moderato cattolico! Che c’è di futurista, o anche semplicemente di futuro, in tutto questo?
Per farla breve, è tutto un pullulare di futuristi a modo. Giriamo allora a questi sedicenti futuristi, e in particolare a quelli di “Futuro e libertà” – dato che fanno riferimento esplicito al futurismo storico – la domanda che FTM fece ai comunisti italiani:
1. Siete voi disposti come noi a liberare l’Italia dal Papato?
2. Vendere il nostro patrimonio artistico per favorire tutte le classi povere e particolarmente il proletariato di artisti?
3. Abolire radicalmente tribunali, polizie, questure e carceri?
Se non avete queste tre volontà rivoluzionarie, siete dei conservatori, archeologi clericali polizieschi e reazionari sotto la vostra vernice di comunismo rosso. Vogliamo liberare l’Italia dal papato, dalla monarchia, dal Senato, dal matrimonio, dal Parlamento. Vogliamo un governo tecnico senza parlamento, vivificato da un consiglio o eccitatorio di giovanissimi. Vogliamo l’abolizione degli eserciti permanenti, dei tribunali, delle polizie e dei carceri, perché la nostra razza di geniali possa sviluppare la maggior quantità possibile di individui liberissimi, forti, laboriosi, novatori, veloci. Non soltanto siamo più rivoluzionari di voi, socialisti ufficiali, ma siamo al di là della vostra rivoluzione.
Premesso che non siamo qui per sottoscrivere alla lettera, per elevare a Verbo, ogni frase pronunciata cento anni fa da Marinetti (questo sarebbe davvero antifuturista!), ci pare nondimeno possibile distillare da questa lista di idee-azioni – attuali o inattuali, praticabili o utopiche che siano – lo spirito anarco-rivoluzionario che le anima. I futuristi (quelli veri) erano più rivoluzionari dei comunisti, più a sinistra della Sinistra Ufficiale. In questo senso erano Al di là del comunismo. Ma voi siete ben al di qua persino della Democrazia cristiana. Perché allora questo stupro linguistico? O forse dovremmo farvi un’altra domanda: avete mai letto un manifesto futurista?
Per riassumere, quando una serie interminabile di partiti, fondazioni, riviste, blog ha iniziato ad inneggiare ad una controfigura di futurismo – flaccido, moderato, misurato. Quando il nome “futuristi”, prima irriso o dimenticato, è tornato di moda, purché sia a modo, a noi FUTURISTI VERI, noi che futuristi lo siamo sempre stati, non resta che dirci SMODATI. Non abbiamo altra scelta. Per prendere una salutare distanza da questa pantomima, dobbiamo definirci smodatofuturisti.
Pars construens
Noi siamo smodatofuturisti nella concezione della scienza!
Non passa giorno che un ecologista o un prete, un politico passatista o un umanista ammuffito non esca con la solita litania della ricerca scientifica che, sì, è un bene, ma deve lasciarsi imporre dei limiti. Limiti? Constatare che la scienza ha dei limiti è saggio, perché ha dei limiti cognitivi il protagonista di questa impresa: l’uomo. I nostri sensi sono limitati, la nostra ragione è limitata. Certamente la scienza non esaurisce la conoscenza. Certamente la scienza non è lo specchio della natura. Certamente la scienza è solo un modo di rappresentare la realtà, di cercare la verità. Certamente le costruzioni scientifiche sono soggette a rivoluzioni, a cambi di paradigma, presentano anomalie, non riescono a dare ragione di tutti i fenomeni, sono influenzate dal contesto sociopolitico, dalle credenze metafisiche, non sono verità eterne…
Ma, se la scienza ha di per sé dei limiti, perché imporgliene altri? Gli spiriti antiscientifici affermano infatti che dobbiamo volontariamente stabilire i nostri limiti, le nuove colonne d’Ercole della conoscenza, e – in nome della Grande Paura – non spingerci oltre, anche se potremmo. Ma che significa questo, se non che dobbiamo lasciare volontariamente un’area di ignoranza, di tenebre, grande a piacimento, a gravare sulla nostra condizione umana? La ricerca scientifica è idealmente ricerca della verità, attraverso l’uso della ragione e dei sensi. È il tentativo di portare luce su quante più questioni possibili. Vogliamo spegnere questa luce? E dove dovremmo metterli questi limiti, questi paletti invalicabili? Prima della scoperta dei neutrini? Prima della scoperta del DNA? E perché non prima della scoperta dell’evoluzione delle specie, della legge di gravitazione, dei principi di idrostatica di Archimede, o della forma sferoidale della Terra? Ma, soprattutto, perché dobbiamo porre dei limiti? A chi giova l’ignoranza volontaria? Probabilmente, a chi si accontenta di una rassicurante immagine dell’universo, simile a un presepe di Natale.
La scienza ha fatto crollare regni e imperi, chiese e religioni. La scienza non è mai stata cauta, moderata, a modo. È sempre stata smodata, proprio come noi futuristi. Il Cardinale Bellarmino si preoccupava delle conseguenze politiche della teoria eliocentrica. Gli astronomi invece si preoccupavano soltanto della teoria eliocentrica. Una frase di Fichte traduce lo spirito della scienza meglio di ogni trattato: «La verità deve essere detta anche se il mondo dovesse andare in pezzi!». Proprio così… La ricerca scientifica deve essere libera, deve dispiegarsi per raggiungere le frontiere più estreme della cognizione umana. E quando queste saranno raggiunte, sarà l’essere postumano a prendere il posto dell’umano, per andare ancora oltre. Dove? Non lo sappiamo, ma non è questo che importa. L’importante è vivere la ricerca scientifica come una avventura perenne, armati di coraggio e curiosità. Sedicenti futuristi, avete il coraggio di seguirci su questa strada?
Noi siamo smodatofuturisti nella concezione della tecnologia!
Ci sarebbe un futuro se non ci fosse uno sviluppo tecnologico libero e illimitato? È la tecnologia che crea il tempo, distinguendo tra passato, presente e futuro. Immaginiamo una società umana in cui il primo homo habilis avesse gettato la pietra raccolta, invece di scheggiarla per farne un utensile. Immaginiamo una società umana senza rivoluzione neolitica, senza agricoltura e pastorizia. O senza rivoluzione industriale, rivoluzione informatica, rivoluzione robotica, rivoluzione biotecnologica. Sarebbe una società sempre uguale a se stessa. Un eterno presente, senza passato e senza futuro, senza consapevolezza e senza storia.
Sappiamo che non pochi rimpiangono o sognano questo tipo di società. C’è chi sogna una moratoria delle tecnologie al tempo presente, per lucrare sulle posizioni di privilegio (i conservatori), c’è chi sogna una decrescita felice (i reazionari), e c’è anche chi sogna uno sviluppo sostenibile, ossia fino a un certo punto, il punto in cui si raggiunge “la fine della storia” (i falsi progressisti). Dunque, un passato sì, un futuro no. Di fronte soltanto un eterno presente, una società sempre uguale a se stessa, per i millenni a venire, fino a quando l’esplosione del sole non metterà fine alla vicenda umana su questo pianeta.
C’è chi ama questo scenario, ritenendo insensata la continua rincorsa della novità tecnologica. E c’è invece chi ritiene completamente insensato proprio questo statico scenario. Noi lo riteniamo insensato. Ognuno ha la propria sensibilità, i propri orientamenti psicologici ed esistenziali. Su questo non discutiamo. È tuttavia lapalissiano che non può dirsi futurista chi non ama la tecnica, chi non desidera il continuo sviluppo della tecnica. Un futurista conservatore è un ossimoro, un non senso. Senza tecnica non c’è futuro. I futuristi vogliono andare sempre oltre, spingersi fino al futuro più estremo.
Lo sviluppo tecnologico è un’avventura e come ogni avventura necessita di coraggio. Le nuove tecnologie in campo, l’ingegneria genetica, la robotica, l’informatica, non cambiano solo l’ambiente. Promettono di cambiare anche l’uomo. Qualcuno, che in passato ha accettato ogni sviluppo tecnico, vorrebbe ora fermarsi almeno davanti a questa possibilità. Noi invece diciamo che è il momento di essere smodati. I futuristi vogliono continuare la loro marcia, anche verso questo futuro postumano. I futuristi sognano un futuro estremo, il cui frutto più maturo sarà un nuovo salto evolutivo della specie, del resto già vagheggiato da Marinetti. Sedicenti futuristi, avete il coraggio di seguirci su questa strada?
Noi siamo smodatofuturisti nella concezione dell’arte!
L’arte è la suprema manifestazione della creatività umana e postumana. L’arte rappresenta il completamento spirituale e cognitivo della scienza, giacché laddove la scienza indaga la realtà attraverso il “metodo osservativo-sperimentale” e condivide i risultati attraverso la comunicazione razionale, l’arte indaga la realtà attraverso la “libera intuizione” e condivide i risultati attraverso la comunicazione estetica.
Non perderemo tempo a discutere se esiste un canone universale di bellezza. Noi siamo relativisti e partiamo dal presupposto che non esistono l’artista e il pubblico. Esistono i pubblici-artisti, al plurale. Esistono tribù estetiche, con diverse sensibilità. A noi non interessa stabilire quello che è bello per tutti, ma quello che è autenticamente futurista. Torniamo sempre allo stesso punto: vogliamo distinguere il falso dall’originale. Il falso è a modo, l’originale è smodato.
Nel campo dell’arte è innanzitutto importante non confondere il modaiolo provocatore con l’innovatore futurista. L’odierna ricerca dell’originalità fine a se stessa, senza sentimenti e senza messaggio, è ormai patetica e ha ben poco di futurista. Non è futurista chi segue bovinamente i trend, le mode del momento. «Oh, il figurativo non è più di moda, ora va l’astratto. Tutti di qua! L’arte come mimesi è superata, basta con il realismo, immergiamoci nel surreale… Tutti di là! No, aspetta, aspetta! È la performance la strada da seguire, basta con l’olio e le tele! Ecc.». Questo appecorarsi per seguire il gregge, per compiacere i pastori critici d’arte sarebbe arte? No. È solo viltà. E la viltà non ha nulla di futurista.
È vero che l’artista è futurista quando innova, quando rompe gli schemi. Ma questo oggi non basta più. Da quando è diventata una moda lo stesso rompere lo schema, al solo fine di rompere lo schema, da quando l’arte è ridotta a una ricerca dell’assurdo e dell’incomprensibile, per potersi dire futurista si deve concepire un’opera non solo innovativa ma anche esteticamente futurista. Se dobbiamo sintetizzare l’estetica futurista in una frase, possiamo rifarci tranquillamente al manifesto del 1909: «Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo».
Questo continuo spacciare tendenze del momento per “arte ufficiale” ha luogo perché permane un’assurda distinzione tra arte e vita. L’arte è stata chiusa in una torre d’avorio e “l’artista” (colui che ha ottenuto lo status di “artista”) viene elevato su un piedistallo, dal quale può riversare sul mondo qualsiasi porcheria. La soluzione è dunque il superamento dell’arte come categoria chiusa, in quanto blocca le intuizioni dell’individuo all’interno di un settore e ne mercifica gli obiettivi. Le facoltà artistico-creative appartengono a tutti. L’arte modaiola che abbiamo denunciato persiste perché esiste la categoria artificiale dell’arte, che tanti rincorrono. È dato trovare molti grandi creativi in settori non-artistici, mentre osserviamo giornalmente “grandi artisti” con creatività pari a zero. E quest’ultima affermazione dovrebbe bastare ad evitare un malinteso. Quando – seguendo Gramsci e Marinetti – diciamo che tutti siamo filosofi, scienziati, artisti, vogliamo dire che tutti lo siamo in qualche misura. Non stiamo pensando ad alcun livellamento egualitaristico, ove scompare del tutto la qualità dell’individuo. Vi sono individui dotati di maggiore creatività, talento, passione, capacità, perseveranza rispetto ad altri. Purtroppo, i migliori non fanno necessariamente parte dell’industria dell’arte, o perché appartengono ad una tribù estetica marginalizzata dai “custodi dell’arte ufficiale” o perché esprimono la propria creatività in settori diversi.
Stiamo dunque attenti a non prendere abbagli. Oggi irrompe sul palcoscenico della storia l’arte digitale. Le macchine permettono a un numero infinitamente superiore di persone di esprimere la propria sensibilità artistico-creativa e di metterla in circolo, senza subire i diktat e i ricatti dell’industria dell’arte. I futuristi sono naturalmente aperti e predisposti alla novità, alla musica elettronica, alle arti digitali visive. Plaudono alla fusione creativa tra uomo e macchina. Ma anche qui serve un distinguo. Chi si butta nell’arte digitale solo perché è di moda, solo perché è l’ultima tendenza, non è necessariamente “futurista”. È in realtà un “presentista”, se non addirittura un “passatista” mascherato. Questi signori gli schemi non li rompono, li consolidano!
Faremo solo un paio di esempi. I musicisti techno-electro-industrial che compongono musiche ultra-tecnologiche, digitali, esteticamente prometeiche, ma cantano un testo contro la tecnologia sono semanticamente stonati e certamente non futuristi! Altrettanto possiamo dire degli artisti del filone fantascientifico di orientamento apocalittico, distopico, luddista, che lamentano lo sviluppo incontrollato della cattiva tecnologia e magari pubblicano i propri racconti, romanzi, film, fumetti, videogiochi in Internet, in formato e-book o multimediale. È evidente la schizofrenia o la semplice adesione modaiola al trend estetico, senza condivisione dei valori. Subiscono magari la fascinazione della tecnica, ma sono incapaci di completare il cammino, di accettarla fino in fondo. Oppure, sapendo che il loro pubblico ha un orientamento luddista, creano opportunisticamente un ossimoro estetico.
Le avanguardie anticipano il senso comune, non lo seguono. Le avanguardie sfidano il senso comune, non lo temono. Le avanguardie sono smodate, non a modo. La nuova frontiera dell’arte – frontiera che coinvolge “tutti gli esseri senzienti” e non solo gli “artisti ufficiali” – è fare della propria vita, del proprio corpo, della propria psiche, della propria comunità, della propria specie un’opera d’arte. Modificare, scolpire, creare se stessi grazie alle nuove tecniche della genetica, della chirurgia, della robotica, dell’informatica è oggi l’autentica arte d’avanguardia, l’arte smodatofuturista. La nuova frontiera dell’arte supera perciò tre dicotomie storiche: 1) quella tra artisti e fruitori dell’opera d’arte; 2) quella tra discipline artistico-creative e discipline tecnico-scientifiche; 3) quella tra mondo esterno da creare-rappresentare e mondo interno di cui prendere semplicemente atto.
Noi non prendiamo atto dell’umanità, del suo fenotipo e del suo genotipo. Noi la plasmiamo, la cambiamo, la superiamo attingendo alle nostre conoscenze tecnico-scientifiche e seguendo le intuizioni estetico-artistiche della nostra volontà creatrice. Sedicenti futuristi, avete il coraggio di seguirci su questa strada?
Noi siamo smodatofuturisti nella concezione della morale!
Marinetti propose l’abolizione del matrimonio, l’amore libero e il figlio di Stato. Si disse che distruggeva la famiglia, la morale, la tradizione. In effetti il libero amore è una posizione estrema, ma a ben vedere non è una proposta nuova. Prima di Marinetti aveva avanzato questa proposta Platone, nella Repubblica, e poi Karl Marx, nel Manifesto del partito comunista. I futuristi non negano “la morale”, negano “una certa morale” e ancor di più la sua degenerazione: il “moralismo ipocrita”. I futuristi negano il moralismo ipocrita dei libertini che negano il proprio libertinismo, delle meretrici che si presentano pubblicamente come Maria Goretti, delle signore della bella società che credono vi sia una qualche differenza fra cercare il buon partito e vendersi in un bordello, dei preti che dietro la propria rigida sessuofobia pubblica nascondono i comportamenti privati più censurabili. I futuristi difendono la morale della trasparenza, della libertà, del coraggio, dell’orgoglio, della sincerità, di coloro che ambiscono nietzscheanamente a diventare ciò che sono.
Se l’uomo è troppo debole per fare un discorso di verità, oggi lo costringono a questo le nuove tecnologie. I telefoni cellulari, Internet, i social forum, stanno mostrando quella che è la vera realtà sociale. I tradimenti, o i desideri di tradimento, superano nella realtà dei fatti la fedeltà e l’amore eterno. Le persone che vendono il proprio corpo per fare carriera sono ben più di quelle che lo ammettono candidamente. I divorzi crescono percentualmente anno dopo anno e ai divorziati non resta che maledire il giorno in cui hanno firmato quel contratto capestro – un contratto economico con clausole assurde occultate dietro la parola amore. Persone insoddisfatte della propria struttura biologica traggono vantaggio dallo spazio di libertà morfologica aperto dalle biotecnologie.
Le tecnologie rendono possibile questa situazione, oppure mettono questa situazione già esistente in tutta la sua crudezza davanti ai nostri occhi. La nostra è una società che si ostina a richiamarsi a valori e strutture famigliari post-neolitiche, come la famiglia monogamica, quando ha attraversato almeno altre due rivoluzioni, quella industriale e quella informatica, e si appresta ad attraversare la terza, quella biotecnologica. Certo, da un punto di vista post-neolitico la società di oggi appare perlomeno smodata. Ma noi ci chiediamo se ha ancora senso questa rigida distinzione di ruoli, questo obbligo di adeguarsi alla struttura, questa pruriginosa attitudine a vietare quello che poi tutti vogliono vedere dal buco della serratura? Andiamo! Liberiamoci dai residui di medioevo che ancora circolano nelle nostre società ipertecnologiche del XXI secolo e accettiamoci per ciò che siamo. Marinetti perorava l’amore libero. Noi andiamo persino oltre e peroriamo l’amore smodato! Sedicenti futuristi, avete il coraggio di seguirci su questa strada?
Noi siamo smodatofuturisti nella concezione della politica!
Vi scongiuriamo! Non chiedeteci se siamo di destra o di sinistra, soprattutto se avete in mente questa destra e questa sinistra. Non abbiamo nulla da spartire né con questa destra reazionaria, clericale, passatista, tradizionalista, né con questa sinistra moderata, politicamente corretta, succube dei poteri forti, fintamente dalla parte del popolo. Noi voliamo in alto, e perciò guardiamo il mondo dall’alto della nostra visione aeropittorica. Ragioniamo a ere geologiche, non a legislature. Dalla nostra prospettiva abissale vediamo la politica svolgersi su tutta l’era quaternaria. E, da questo punto di vista inconsueto, il quadro ci appare differente.
La storia della politica ci appare come la storia di tre uomini che si ritrovano improvvisamente gettati su una barca a vela in navigazione. Il primo passa il tempo ad imprecare contro la sorte che li ha fatti ritrovare a bordo, e insiste sull’opportunità di buttarsi a nuoto per cercare una riva inesistente. Questi è il luddista, il tradizionalista, il primitivista, il passatista, di matrice ecologista o religiosa. Può stare a destra come a sinistra, ma in ogni caso guarda indietro.
Il secondo uomo invece sulla barca ci sta tutto sommato bene, ma non vuole arrovellarsi troppo. Propone perciò di instaurare una regola per cui sia vietato interferire con la navigazione… verso il nulla. Passa il tempo a proporre regole di convivenza ed è principalmente interessato ad accaparrarsi le razioni disponibili e la cuccetta migliore, o al massimo trovare un modo per condividerle equamente in modo da mantenere la pace a bordo. Questi è il borghese o, alternativamente, il proletario la cui massima ambizione è imborghesirsi. Ha freudianamente rimosso la propria condizione di naufrago dell’esistenza. A volte sta a destra, a volte a sinistra, ma tende inesorabilmente a gravitare verso il centro – verso la melassa insipida, il nulla ideologico, il privilegio, la raccomandazione, l’appalto.
Ciò che conta invece per il terzo uomo è la possibilità di usare la barca per andare dove vuole, imparare a governarla e decidere la rotta da seguire. Questi è il vero futurista, il futurista smodato. Questo spirito volontarista, prometeico, faustiano, consapevole, decisionista, disinteressato, eroico, tragico è appartenuto a uomini di diversi schieramenti politici. Che si siano schierati a destra o a sinistra poco importa. Ciò che unisce questi uomini è che hanno la schiena dritta e guardano sempre avanti!
Ma sentiamo già il fiato sul collo, il richiamo alla realtà, la domanda impertinente dei presentisti: «Dei problemi della gente vogliamo parlare?». Ne parleremmo più volentieri se vedessimo la gente sollevarsi dal proprio torpore e ribellarsi! Di fronte ad una situazione di crisi radicale, vorremmo vedere una reazione radicale. Non ci scalda il cuore né l’idea del governicchio che si regge sulla compravendita dei trasformisti, né l’ipotesi del governo tecnico, ennesimo comitato d’affari delle banche e delle multinazionali, pronto ad affamare il popolo per salvare il sistema. Vorremmo liberare il Parlamento da questi zombi e dai loro estenuanti e inconcludenti tatticismi. E smettiamo anche di chiamarla “casta”! Casta è una parola troppo importante, troppo nobile, troppo aristocratica, per indicare dei questuanti interessati solo a mangiare alla mensa dei poveri di Montecitorio. La corruzione? L’interesse privato? La raccomandazione? I ribaltoni? I trasformismi? Il sesso come veicolo per la carriera? Le mafie, i servizi, le logge, le minacce e i ricatti incardinati sui Misteri d’Italia? Umano, troppo umano... Anzi, meglio dire: ominide, troppo ominide. Suvvia! È giunto il momento di realizzare quella festosa rivoluzione che attendiamo da tempo. Svuotiamo le Camere dai politici a modo e riempiamole di androidi, cyborg, robot, mutanti, o magari anche di donne e uomini, purché smodati. Con i tempi che corrono, persino l’ultima categoria non è poi da disprezzare.
Poiché noi abbiamo la tendenza a levitare, vorremmo vedere intorno a noi cuori sollevati e teste sollevate. Perciò lottiamo innanzitutto contro il parassitismo e il fatalismo, due malattie che si possono annidare in tutte le classi sociali, quella alta dei banchieri, dei politici, dei faccendieri, e quella bassa dei loro servi, degli apatici, dei questuanti. Noi siamo con chi lavora, chi inventa, chi costruisce, chi lotta, chi cerca di determinare volontariamente il proprio destino, elevando così non soltanto se stesso, ma tutta la sua comunità. Sedicenti futuristi, avete il coraggio di seguirci su questa strada?
Distinguo
Prima di concludere, vogliamo sgombrare il campo da un possibile equivoco. Non intendiamo ergerci a custodi dell’ortodossia ideologica. Non reclamiamo l’esclusiva sull’uso del termine “futurista”. Nulla è più lontano dal nostro spirito libertario dell’idea che servano autorizzazioni per definirsi in un modo piuttosto che in un altro. Anzi, ci riempie di gioia vedere intorno a noi persone che fanno fieramente uso di questo termine, dopo che per anni siamo stati visti come folli quando indossavamo idealmente le giacche gialle del futurismo. Che cento fiori fioriscano! Gli esempi positivi vengono dall’arte popolare, che con la sua leggerezza riesce ad essere più onesta di qualunque politica. Un grande artista, guru del rock italiano, ha sorpreso tutti componendo e cantando il “Manifesto futurista della nuova umanità”. Una canzone-poesia in cui gli elementi del sentire futurista sono ben rappresentati: l’emancipazione dalla tutela morale e religiosa, il rifiuto di una rappresentazione rassicurante e immaginaria della realtà come prezzo da pagare per dare sfogo alle emozioni più smodate, e quella vita che arriva impetuosa ed è un miracolo che ogni giorno si rinnova – arriva impetuosa come il treno che compie scorribande nel videoclip, simbolo della rivoluzione industriale già cantato da Carducci, simbolo della prepotenza tecnica dell’uomo che sfida faustianamente le proprie limitazioni, correndo rischi, sfidando i pericoli. Con leggerezza e ironia, cantano “Il futurista” anche due icone della pop-art commerciale, tra scale mobili e paraboliche, grandi numeri e parolibere, e un accenno implicito al transumanesimo: «matematica la mia etica io modifico la genetica».
La tecnica, la tecnica… Una sfida alle stelle che però rischia di naufragare in gretto consumismo. Come ha sagacemente mostrato un grande cineasta nel film “La dinamicità”, c’è da rimanere esterrefatti nel vedere la tecnologia ridotta ad ovvietà del quotidiano. In questa trasfigurazione, come sottolinea il regista, c’è tutta la parabola della società e del design italiano, da una fiammeggiante avanguardia rivoluzionaria a un sostanziale conformismo di massa.
Ergo
Se questa parabola si verifica è anche a causa dello stupro semantico cui è quotidianamente soggetta la lingua italiana. Si capovolgono scientemente i significati delle parole: si cambia tutto, affinché tutto rimanga uguale. È soltanto a questa usurpazione gattopardesca che vogliamo porre fine, non alla libera appropriazione del nome “futurismo”. Stupratori! Se avrete il coraggio di seguirci sulla strada del futurismo autentico, eccessivo, smodato, vi accoglieremo a braccia aperte, come sinceri compagni di lotta. Se invece vorrete restare arroccati nel vostro misero e patetico moderatismo, fateci almeno la cortesia di non dirvi più futuristi. Ci risparmierete così la fatica di definirci “smodatofuturisti” per distinguerci da voi. In fondo, a noi basta essere quello che siamo sempre stati: futuristi!
Ad futurum!
Riccardo Campa (estensore)
Graziano Cecchini (azionatore)
Roberto Guerra (eccitatore)
Antonio Saccoccio (agitatore)
Stefano Vaj (fomentatore)
Post scriptum (ad usum stultorum)
Avete letto attentamente questo manifesto ed ora siete indignati, spaventati, inorriditi. Vi apprestate quindi ad assumere “un atteggiamento di seria preoccupazione” per lanciare un allarme, gridare al lupo, segnalare il pericolo alle persone perbene, sul vostro insignificante blog, giornale o televisione. Ebbene, se questo vi frulla per la mente, perdonateci l’impietosa diagnosi, ma appartenete certamente alla categoria degli imbecilli. Il vostro deficit intellettivo non vi ha permesso di cogliere il carattere semiserio, papiniano, prezzoliniano dello scritto. D’altronde, non si può pretendere che un imbecille capisca dove finisce l’analisi e dove inizia il sarcasmo o l’ironia. Eppure, in questo caso, il compito non era affatto difficile, considerando che siamo partiti dalla critica dei poteri forti per arrivare all’elogio… dei Righeira! Riflettete, se potete, prima di infestare il ciberspazio di ulteriore spazzatura. Il male che vi affligge non è esterno, è dentro di voi. Potete però eliminarlo con un upgrade del cervello, installando un microprocessore e un’espansione di memoria nella corteccia cerebrale. Credeteci: il futurismo smodato può esservi più utile di quanto riusciate a immaginare. Ad ogni buon conto, per voi preghiamo.
Giorno: 11.11.11
Ora: 11:11
VRBE AETERNA,
A. D. III IDVS NOVEMBRES,
MMDCCLXIV A.V.C.
HORA QVINTA ET VNDECIM MINVTIS
Oggi, 11/11/11, quando il numero sacro del futurismo si presenta in forma una e trina, quando il numero bicornuto venerato da FT Marinetti colora di rosso incandescente i nostri calendari, quando il numero che supera il sistema decimale delle dieci dita e delle limitazioni umane accompagna il sorgere del sole novembrino nell'anarchica e illogica estate di San Martino, noi futuristi del XXI secolo ci accingiamo a pubblicare il centoundicimilacentounesimo manifesto futurista: il Manifesto del futurismo smodato!
Pars destruens
Sull'onda del centenario della fondazione, si fa un gran parlare di futurismo, ma il termine è usato troppo spesso a sproposito, ai limiti dello stupro linguistico. In tale situazione, non è azzardato parlare di usurpazione.
Un partito decide di chiamarsi “Futuro e libertà”, i suoi militanti si definiscono “futuristi”, la loro fondazione si chiama “Farefuturo” e il loro giornale di partito “Il futurista”. Riconosciamo che tanta attenzione a nomi e simboli che ci sono cari ci lusinga. Riconosciamo che, a riguardo di alcune questioni bioetiche, il neonato e soltanto sedicente partito “futurista” ha con noi qualche punto in comune. Il suo capo votò “sì” ai referendum sulla fecondazione artificiale e la clonazione terapeutica. Ma questo è tutto quanto possiamo riconoscere. Il resto è tristezza. Può un partito che si richiama nominalmente e simbolicamente al “futurismo” schierarsi strategicamente con il centro moderato cattolico? Può un partito “futurista” essere impegnato, tranne qualche frangia, a chiamare a raccolta tutti i benpensanti, i perbenisti, e coloro che pensano che la political correctness sia un totem e l’autodeterminazione un tabù?
Non bastasse “Futuro e libertà”, è in circolazione anche “Libertà e futuro”. Attenzione! Non è una patacca. È un’associazione politica, una lista civica, un movimento nato ancora prima del partito scissionista della destra, e proprio in concomitanza con il centenario del Futurismo. Peccato che – come il quasi omonimo partito politico – non mostri alcuno slancio rivoluzionario, avanguardista, prometeico. Del resto, è noto che invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia.
Oltre ai politici di professione, ci sono politici per missione. Un industriale aristocratico ha chiamato la propria fondazione “Italia futura”, una fondazione che si è dotata di sedi territoriali e assomiglia ormai a un vero e proprio partito. Un giorno sì e un giorno anche, il nostro minaccia di entrare in politica. Certo, questo imprenditore ha dei meriti che gli debbono essere riconosciuti: ha dato lustro alla tecnologia e all’ingegno italiano nel mondo. FT Marinetti non sarebbe forse fiero dei suoi bolidi rossi, considerando che il rosso è il colore del futurismo e la velocità la sua religione? Non sarebbe fiero di questi gioielli della meccanica che portano l’emblema dell’eroico aeroartista Francesco Baracca? Ma, anche in questo caso, il riconoscimento deve fermarsi qui. L’industriale in questione, tirato per la giacca da destra e da manca come salvatore della Patria, minaccia di scendere nell’arena politica… Bene! Bravo! Con chi? Con il centro moderato cattolico! Che c’è di futurista, o anche semplicemente di futuro, in tutto questo?
Per farla breve, è tutto un pullulare di futuristi a modo. Giriamo allora a questi sedicenti futuristi, e in particolare a quelli di “Futuro e libertà” – dato che fanno riferimento esplicito al futurismo storico – la domanda che FTM fece ai comunisti italiani:
1. Siete voi disposti come noi a liberare l’Italia dal Papato?
2. Vendere il nostro patrimonio artistico per favorire tutte le classi povere e particolarmente il proletariato di artisti?
3. Abolire radicalmente tribunali, polizie, questure e carceri?
Se non avete queste tre volontà rivoluzionarie, siete dei conservatori, archeologi clericali polizieschi e reazionari sotto la vostra vernice di comunismo rosso. Vogliamo liberare l’Italia dal papato, dalla monarchia, dal Senato, dal matrimonio, dal Parlamento. Vogliamo un governo tecnico senza parlamento, vivificato da un consiglio o eccitatorio di giovanissimi. Vogliamo l’abolizione degli eserciti permanenti, dei tribunali, delle polizie e dei carceri, perché la nostra razza di geniali possa sviluppare la maggior quantità possibile di individui liberissimi, forti, laboriosi, novatori, veloci. Non soltanto siamo più rivoluzionari di voi, socialisti ufficiali, ma siamo al di là della vostra rivoluzione.
Premesso che non siamo qui per sottoscrivere alla lettera, per elevare a Verbo, ogni frase pronunciata cento anni fa da Marinetti (questo sarebbe davvero antifuturista!), ci pare nondimeno possibile distillare da questa lista di idee-azioni – attuali o inattuali, praticabili o utopiche che siano – lo spirito anarco-rivoluzionario che le anima. I futuristi (quelli veri) erano più rivoluzionari dei comunisti, più a sinistra della Sinistra Ufficiale. In questo senso erano Al di là del comunismo. Ma voi siete ben al di qua persino della Democrazia cristiana. Perché allora questo stupro linguistico? O forse dovremmo farvi un’altra domanda: avete mai letto un manifesto futurista?
Per riassumere, quando una serie interminabile di partiti, fondazioni, riviste, blog ha iniziato ad inneggiare ad una controfigura di futurismo – flaccido, moderato, misurato. Quando il nome “futuristi”, prima irriso o dimenticato, è tornato di moda, purché sia a modo, a noi FUTURISTI VERI, noi che futuristi lo siamo sempre stati, non resta che dirci SMODATI. Non abbiamo altra scelta. Per prendere una salutare distanza da questa pantomima, dobbiamo definirci smodatofuturisti.
Pars construens
Noi siamo smodatofuturisti nella concezione della scienza!
Non passa giorno che un ecologista o un prete, un politico passatista o un umanista ammuffito non esca con la solita litania della ricerca scientifica che, sì, è un bene, ma deve lasciarsi imporre dei limiti. Limiti? Constatare che la scienza ha dei limiti è saggio, perché ha dei limiti cognitivi il protagonista di questa impresa: l’uomo. I nostri sensi sono limitati, la nostra ragione è limitata. Certamente la scienza non esaurisce la conoscenza. Certamente la scienza non è lo specchio della natura. Certamente la scienza è solo un modo di rappresentare la realtà, di cercare la verità. Certamente le costruzioni scientifiche sono soggette a rivoluzioni, a cambi di paradigma, presentano anomalie, non riescono a dare ragione di tutti i fenomeni, sono influenzate dal contesto sociopolitico, dalle credenze metafisiche, non sono verità eterne…
Ma, se la scienza ha di per sé dei limiti, perché imporgliene altri? Gli spiriti antiscientifici affermano infatti che dobbiamo volontariamente stabilire i nostri limiti, le nuove colonne d’Ercole della conoscenza, e – in nome della Grande Paura – non spingerci oltre, anche se potremmo. Ma che significa questo, se non che dobbiamo lasciare volontariamente un’area di ignoranza, di tenebre, grande a piacimento, a gravare sulla nostra condizione umana? La ricerca scientifica è idealmente ricerca della verità, attraverso l’uso della ragione e dei sensi. È il tentativo di portare luce su quante più questioni possibili. Vogliamo spegnere questa luce? E dove dovremmo metterli questi limiti, questi paletti invalicabili? Prima della scoperta dei neutrini? Prima della scoperta del DNA? E perché non prima della scoperta dell’evoluzione delle specie, della legge di gravitazione, dei principi di idrostatica di Archimede, o della forma sferoidale della Terra? Ma, soprattutto, perché dobbiamo porre dei limiti? A chi giova l’ignoranza volontaria? Probabilmente, a chi si accontenta di una rassicurante immagine dell’universo, simile a un presepe di Natale.
La scienza ha fatto crollare regni e imperi, chiese e religioni. La scienza non è mai stata cauta, moderata, a modo. È sempre stata smodata, proprio come noi futuristi. Il Cardinale Bellarmino si preoccupava delle conseguenze politiche della teoria eliocentrica. Gli astronomi invece si preoccupavano soltanto della teoria eliocentrica. Una frase di Fichte traduce lo spirito della scienza meglio di ogni trattato: «La verità deve essere detta anche se il mondo dovesse andare in pezzi!». Proprio così… La ricerca scientifica deve essere libera, deve dispiegarsi per raggiungere le frontiere più estreme della cognizione umana. E quando queste saranno raggiunte, sarà l’essere postumano a prendere il posto dell’umano, per andare ancora oltre. Dove? Non lo sappiamo, ma non è questo che importa. L’importante è vivere la ricerca scientifica come una avventura perenne, armati di coraggio e curiosità. Sedicenti futuristi, avete il coraggio di seguirci su questa strada?
Noi siamo smodatofuturisti nella concezione della tecnologia!
Ci sarebbe un futuro se non ci fosse uno sviluppo tecnologico libero e illimitato? È la tecnologia che crea il tempo, distinguendo tra passato, presente e futuro. Immaginiamo una società umana in cui il primo homo habilis avesse gettato la pietra raccolta, invece di scheggiarla per farne un utensile. Immaginiamo una società umana senza rivoluzione neolitica, senza agricoltura e pastorizia. O senza rivoluzione industriale, rivoluzione informatica, rivoluzione robotica, rivoluzione biotecnologica. Sarebbe una società sempre uguale a se stessa. Un eterno presente, senza passato e senza futuro, senza consapevolezza e senza storia.
Sappiamo che non pochi rimpiangono o sognano questo tipo di società. C’è chi sogna una moratoria delle tecnologie al tempo presente, per lucrare sulle posizioni di privilegio (i conservatori), c’è chi sogna una decrescita felice (i reazionari), e c’è anche chi sogna uno sviluppo sostenibile, ossia fino a un certo punto, il punto in cui si raggiunge “la fine della storia” (i falsi progressisti). Dunque, un passato sì, un futuro no. Di fronte soltanto un eterno presente, una società sempre uguale a se stessa, per i millenni a venire, fino a quando l’esplosione del sole non metterà fine alla vicenda umana su questo pianeta.
C’è chi ama questo scenario, ritenendo insensata la continua rincorsa della novità tecnologica. E c’è invece chi ritiene completamente insensato proprio questo statico scenario. Noi lo riteniamo insensato. Ognuno ha la propria sensibilità, i propri orientamenti psicologici ed esistenziali. Su questo non discutiamo. È tuttavia lapalissiano che non può dirsi futurista chi non ama la tecnica, chi non desidera il continuo sviluppo della tecnica. Un futurista conservatore è un ossimoro, un non senso. Senza tecnica non c’è futuro. I futuristi vogliono andare sempre oltre, spingersi fino al futuro più estremo.
Lo sviluppo tecnologico è un’avventura e come ogni avventura necessita di coraggio. Le nuove tecnologie in campo, l’ingegneria genetica, la robotica, l’informatica, non cambiano solo l’ambiente. Promettono di cambiare anche l’uomo. Qualcuno, che in passato ha accettato ogni sviluppo tecnico, vorrebbe ora fermarsi almeno davanti a questa possibilità. Noi invece diciamo che è il momento di essere smodati. I futuristi vogliono continuare la loro marcia, anche verso questo futuro postumano. I futuristi sognano un futuro estremo, il cui frutto più maturo sarà un nuovo salto evolutivo della specie, del resto già vagheggiato da Marinetti. Sedicenti futuristi, avete il coraggio di seguirci su questa strada?
Noi siamo smodatofuturisti nella concezione dell’arte!
L’arte è la suprema manifestazione della creatività umana e postumana. L’arte rappresenta il completamento spirituale e cognitivo della scienza, giacché laddove la scienza indaga la realtà attraverso il “metodo osservativo-sperimentale” e condivide i risultati attraverso la comunicazione razionale, l’arte indaga la realtà attraverso la “libera intuizione” e condivide i risultati attraverso la comunicazione estetica.
Non perderemo tempo a discutere se esiste un canone universale di bellezza. Noi siamo relativisti e partiamo dal presupposto che non esistono l’artista e il pubblico. Esistono i pubblici-artisti, al plurale. Esistono tribù estetiche, con diverse sensibilità. A noi non interessa stabilire quello che è bello per tutti, ma quello che è autenticamente futurista. Torniamo sempre allo stesso punto: vogliamo distinguere il falso dall’originale. Il falso è a modo, l’originale è smodato.
Nel campo dell’arte è innanzitutto importante non confondere il modaiolo provocatore con l’innovatore futurista. L’odierna ricerca dell’originalità fine a se stessa, senza sentimenti e senza messaggio, è ormai patetica e ha ben poco di futurista. Non è futurista chi segue bovinamente i trend, le mode del momento. «Oh, il figurativo non è più di moda, ora va l’astratto. Tutti di qua! L’arte come mimesi è superata, basta con il realismo, immergiamoci nel surreale… Tutti di là! No, aspetta, aspetta! È la performance la strada da seguire, basta con l’olio e le tele! Ecc.». Questo appecorarsi per seguire il gregge, per compiacere i pastori critici d’arte sarebbe arte? No. È solo viltà. E la viltà non ha nulla di futurista.
È vero che l’artista è futurista quando innova, quando rompe gli schemi. Ma questo oggi non basta più. Da quando è diventata una moda lo stesso rompere lo schema, al solo fine di rompere lo schema, da quando l’arte è ridotta a una ricerca dell’assurdo e dell’incomprensibile, per potersi dire futurista si deve concepire un’opera non solo innovativa ma anche esteticamente futurista. Se dobbiamo sintetizzare l’estetica futurista in una frase, possiamo rifarci tranquillamente al manifesto del 1909: «Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo».
Questo continuo spacciare tendenze del momento per “arte ufficiale” ha luogo perché permane un’assurda distinzione tra arte e vita. L’arte è stata chiusa in una torre d’avorio e “l’artista” (colui che ha ottenuto lo status di “artista”) viene elevato su un piedistallo, dal quale può riversare sul mondo qualsiasi porcheria. La soluzione è dunque il superamento dell’arte come categoria chiusa, in quanto blocca le intuizioni dell’individuo all’interno di un settore e ne mercifica gli obiettivi. Le facoltà artistico-creative appartengono a tutti. L’arte modaiola che abbiamo denunciato persiste perché esiste la categoria artificiale dell’arte, che tanti rincorrono. È dato trovare molti grandi creativi in settori non-artistici, mentre osserviamo giornalmente “grandi artisti” con creatività pari a zero. E quest’ultima affermazione dovrebbe bastare ad evitare un malinteso. Quando – seguendo Gramsci e Marinetti – diciamo che tutti siamo filosofi, scienziati, artisti, vogliamo dire che tutti lo siamo in qualche misura. Non stiamo pensando ad alcun livellamento egualitaristico, ove scompare del tutto la qualità dell’individuo. Vi sono individui dotati di maggiore creatività, talento, passione, capacità, perseveranza rispetto ad altri. Purtroppo, i migliori non fanno necessariamente parte dell’industria dell’arte, o perché appartengono ad una tribù estetica marginalizzata dai “custodi dell’arte ufficiale” o perché esprimono la propria creatività in settori diversi.
Stiamo dunque attenti a non prendere abbagli. Oggi irrompe sul palcoscenico della storia l’arte digitale. Le macchine permettono a un numero infinitamente superiore di persone di esprimere la propria sensibilità artistico-creativa e di metterla in circolo, senza subire i diktat e i ricatti dell’industria dell’arte. I futuristi sono naturalmente aperti e predisposti alla novità, alla musica elettronica, alle arti digitali visive. Plaudono alla fusione creativa tra uomo e macchina. Ma anche qui serve un distinguo. Chi si butta nell’arte digitale solo perché è di moda, solo perché è l’ultima tendenza, non è necessariamente “futurista”. È in realtà un “presentista”, se non addirittura un “passatista” mascherato. Questi signori gli schemi non li rompono, li consolidano!
Faremo solo un paio di esempi. I musicisti techno-electro-industrial che compongono musiche ultra-tecnologiche, digitali, esteticamente prometeiche, ma cantano un testo contro la tecnologia sono semanticamente stonati e certamente non futuristi! Altrettanto possiamo dire degli artisti del filone fantascientifico di orientamento apocalittico, distopico, luddista, che lamentano lo sviluppo incontrollato della cattiva tecnologia e magari pubblicano i propri racconti, romanzi, film, fumetti, videogiochi in Internet, in formato e-book o multimediale. È evidente la schizofrenia o la semplice adesione modaiola al trend estetico, senza condivisione dei valori. Subiscono magari la fascinazione della tecnica, ma sono incapaci di completare il cammino, di accettarla fino in fondo. Oppure, sapendo che il loro pubblico ha un orientamento luddista, creano opportunisticamente un ossimoro estetico.
Le avanguardie anticipano il senso comune, non lo seguono. Le avanguardie sfidano il senso comune, non lo temono. Le avanguardie sono smodate, non a modo. La nuova frontiera dell’arte – frontiera che coinvolge “tutti gli esseri senzienti” e non solo gli “artisti ufficiali” – è fare della propria vita, del proprio corpo, della propria psiche, della propria comunità, della propria specie un’opera d’arte. Modificare, scolpire, creare se stessi grazie alle nuove tecniche della genetica, della chirurgia, della robotica, dell’informatica è oggi l’autentica arte d’avanguardia, l’arte smodatofuturista. La nuova frontiera dell’arte supera perciò tre dicotomie storiche: 1) quella tra artisti e fruitori dell’opera d’arte; 2) quella tra discipline artistico-creative e discipline tecnico-scientifiche; 3) quella tra mondo esterno da creare-rappresentare e mondo interno di cui prendere semplicemente atto.
Noi non prendiamo atto dell’umanità, del suo fenotipo e del suo genotipo. Noi la plasmiamo, la cambiamo, la superiamo attingendo alle nostre conoscenze tecnico-scientifiche e seguendo le intuizioni estetico-artistiche della nostra volontà creatrice. Sedicenti futuristi, avete il coraggio di seguirci su questa strada?
Noi siamo smodatofuturisti nella concezione della morale!
Marinetti propose l’abolizione del matrimonio, l’amore libero e il figlio di Stato. Si disse che distruggeva la famiglia, la morale, la tradizione. In effetti il libero amore è una posizione estrema, ma a ben vedere non è una proposta nuova. Prima di Marinetti aveva avanzato questa proposta Platone, nella Repubblica, e poi Karl Marx, nel Manifesto del partito comunista. I futuristi non negano “la morale”, negano “una certa morale” e ancor di più la sua degenerazione: il “moralismo ipocrita”. I futuristi negano il moralismo ipocrita dei libertini che negano il proprio libertinismo, delle meretrici che si presentano pubblicamente come Maria Goretti, delle signore della bella società che credono vi sia una qualche differenza fra cercare il buon partito e vendersi in un bordello, dei preti che dietro la propria rigida sessuofobia pubblica nascondono i comportamenti privati più censurabili. I futuristi difendono la morale della trasparenza, della libertà, del coraggio, dell’orgoglio, della sincerità, di coloro che ambiscono nietzscheanamente a diventare ciò che sono.
Se l’uomo è troppo debole per fare un discorso di verità, oggi lo costringono a questo le nuove tecnologie. I telefoni cellulari, Internet, i social forum, stanno mostrando quella che è la vera realtà sociale. I tradimenti, o i desideri di tradimento, superano nella realtà dei fatti la fedeltà e l’amore eterno. Le persone che vendono il proprio corpo per fare carriera sono ben più di quelle che lo ammettono candidamente. I divorzi crescono percentualmente anno dopo anno e ai divorziati non resta che maledire il giorno in cui hanno firmato quel contratto capestro – un contratto economico con clausole assurde occultate dietro la parola amore. Persone insoddisfatte della propria struttura biologica traggono vantaggio dallo spazio di libertà morfologica aperto dalle biotecnologie.
Le tecnologie rendono possibile questa situazione, oppure mettono questa situazione già esistente in tutta la sua crudezza davanti ai nostri occhi. La nostra è una società che si ostina a richiamarsi a valori e strutture famigliari post-neolitiche, come la famiglia monogamica, quando ha attraversato almeno altre due rivoluzioni, quella industriale e quella informatica, e si appresta ad attraversare la terza, quella biotecnologica. Certo, da un punto di vista post-neolitico la società di oggi appare perlomeno smodata. Ma noi ci chiediamo se ha ancora senso questa rigida distinzione di ruoli, questo obbligo di adeguarsi alla struttura, questa pruriginosa attitudine a vietare quello che poi tutti vogliono vedere dal buco della serratura? Andiamo! Liberiamoci dai residui di medioevo che ancora circolano nelle nostre società ipertecnologiche del XXI secolo e accettiamoci per ciò che siamo. Marinetti perorava l’amore libero. Noi andiamo persino oltre e peroriamo l’amore smodato! Sedicenti futuristi, avete il coraggio di seguirci su questa strada?
Noi siamo smodatofuturisti nella concezione della politica!
Vi scongiuriamo! Non chiedeteci se siamo di destra o di sinistra, soprattutto se avete in mente questa destra e questa sinistra. Non abbiamo nulla da spartire né con questa destra reazionaria, clericale, passatista, tradizionalista, né con questa sinistra moderata, politicamente corretta, succube dei poteri forti, fintamente dalla parte del popolo. Noi voliamo in alto, e perciò guardiamo il mondo dall’alto della nostra visione aeropittorica. Ragioniamo a ere geologiche, non a legislature. Dalla nostra prospettiva abissale vediamo la politica svolgersi su tutta l’era quaternaria. E, da questo punto di vista inconsueto, il quadro ci appare differente.
La storia della politica ci appare come la storia di tre uomini che si ritrovano improvvisamente gettati su una barca a vela in navigazione. Il primo passa il tempo ad imprecare contro la sorte che li ha fatti ritrovare a bordo, e insiste sull’opportunità di buttarsi a nuoto per cercare una riva inesistente. Questi è il luddista, il tradizionalista, il primitivista, il passatista, di matrice ecologista o religiosa. Può stare a destra come a sinistra, ma in ogni caso guarda indietro.
Il secondo uomo invece sulla barca ci sta tutto sommato bene, ma non vuole arrovellarsi troppo. Propone perciò di instaurare una regola per cui sia vietato interferire con la navigazione… verso il nulla. Passa il tempo a proporre regole di convivenza ed è principalmente interessato ad accaparrarsi le razioni disponibili e la cuccetta migliore, o al massimo trovare un modo per condividerle equamente in modo da mantenere la pace a bordo. Questi è il borghese o, alternativamente, il proletario la cui massima ambizione è imborghesirsi. Ha freudianamente rimosso la propria condizione di naufrago dell’esistenza. A volte sta a destra, a volte a sinistra, ma tende inesorabilmente a gravitare verso il centro – verso la melassa insipida, il nulla ideologico, il privilegio, la raccomandazione, l’appalto.
Ciò che conta invece per il terzo uomo è la possibilità di usare la barca per andare dove vuole, imparare a governarla e decidere la rotta da seguire. Questi è il vero futurista, il futurista smodato. Questo spirito volontarista, prometeico, faustiano, consapevole, decisionista, disinteressato, eroico, tragico è appartenuto a uomini di diversi schieramenti politici. Che si siano schierati a destra o a sinistra poco importa. Ciò che unisce questi uomini è che hanno la schiena dritta e guardano sempre avanti!
Ma sentiamo già il fiato sul collo, il richiamo alla realtà, la domanda impertinente dei presentisti: «Dei problemi della gente vogliamo parlare?». Ne parleremmo più volentieri se vedessimo la gente sollevarsi dal proprio torpore e ribellarsi! Di fronte ad una situazione di crisi radicale, vorremmo vedere una reazione radicale. Non ci scalda il cuore né l’idea del governicchio che si regge sulla compravendita dei trasformisti, né l’ipotesi del governo tecnico, ennesimo comitato d’affari delle banche e delle multinazionali, pronto ad affamare il popolo per salvare il sistema. Vorremmo liberare il Parlamento da questi zombi e dai loro estenuanti e inconcludenti tatticismi. E smettiamo anche di chiamarla “casta”! Casta è una parola troppo importante, troppo nobile, troppo aristocratica, per indicare dei questuanti interessati solo a mangiare alla mensa dei poveri di Montecitorio. La corruzione? L’interesse privato? La raccomandazione? I ribaltoni? I trasformismi? Il sesso come veicolo per la carriera? Le mafie, i servizi, le logge, le minacce e i ricatti incardinati sui Misteri d’Italia? Umano, troppo umano... Anzi, meglio dire: ominide, troppo ominide. Suvvia! È giunto il momento di realizzare quella festosa rivoluzione che attendiamo da tempo. Svuotiamo le Camere dai politici a modo e riempiamole di androidi, cyborg, robot, mutanti, o magari anche di donne e uomini, purché smodati. Con i tempi che corrono, persino l’ultima categoria non è poi da disprezzare.
Poiché noi abbiamo la tendenza a levitare, vorremmo vedere intorno a noi cuori sollevati e teste sollevate. Perciò lottiamo innanzitutto contro il parassitismo e il fatalismo, due malattie che si possono annidare in tutte le classi sociali, quella alta dei banchieri, dei politici, dei faccendieri, e quella bassa dei loro servi, degli apatici, dei questuanti. Noi siamo con chi lavora, chi inventa, chi costruisce, chi lotta, chi cerca di determinare volontariamente il proprio destino, elevando così non soltanto se stesso, ma tutta la sua comunità. Sedicenti futuristi, avete il coraggio di seguirci su questa strada?
Distinguo
Prima di concludere, vogliamo sgombrare il campo da un possibile equivoco. Non intendiamo ergerci a custodi dell’ortodossia ideologica. Non reclamiamo l’esclusiva sull’uso del termine “futurista”. Nulla è più lontano dal nostro spirito libertario dell’idea che servano autorizzazioni per definirsi in un modo piuttosto che in un altro. Anzi, ci riempie di gioia vedere intorno a noi persone che fanno fieramente uso di questo termine, dopo che per anni siamo stati visti come folli quando indossavamo idealmente le giacche gialle del futurismo. Che cento fiori fioriscano! Gli esempi positivi vengono dall’arte popolare, che con la sua leggerezza riesce ad essere più onesta di qualunque politica. Un grande artista, guru del rock italiano, ha sorpreso tutti componendo e cantando il “Manifesto futurista della nuova umanità”. Una canzone-poesia in cui gli elementi del sentire futurista sono ben rappresentati: l’emancipazione dalla tutela morale e religiosa, il rifiuto di una rappresentazione rassicurante e immaginaria della realtà come prezzo da pagare per dare sfogo alle emozioni più smodate, e quella vita che arriva impetuosa ed è un miracolo che ogni giorno si rinnova – arriva impetuosa come il treno che compie scorribande nel videoclip, simbolo della rivoluzione industriale già cantato da Carducci, simbolo della prepotenza tecnica dell’uomo che sfida faustianamente le proprie limitazioni, correndo rischi, sfidando i pericoli. Con leggerezza e ironia, cantano “Il futurista” anche due icone della pop-art commerciale, tra scale mobili e paraboliche, grandi numeri e parolibere, e un accenno implicito al transumanesimo: «matematica la mia etica io modifico la genetica».
La tecnica, la tecnica… Una sfida alle stelle che però rischia di naufragare in gretto consumismo. Come ha sagacemente mostrato un grande cineasta nel film “La dinamicità”, c’è da rimanere esterrefatti nel vedere la tecnologia ridotta ad ovvietà del quotidiano. In questa trasfigurazione, come sottolinea il regista, c’è tutta la parabola della società e del design italiano, da una fiammeggiante avanguardia rivoluzionaria a un sostanziale conformismo di massa.
Ergo
Se questa parabola si verifica è anche a causa dello stupro semantico cui è quotidianamente soggetta la lingua italiana. Si capovolgono scientemente i significati delle parole: si cambia tutto, affinché tutto rimanga uguale. È soltanto a questa usurpazione gattopardesca che vogliamo porre fine, non alla libera appropriazione del nome “futurismo”. Stupratori! Se avrete il coraggio di seguirci sulla strada del futurismo autentico, eccessivo, smodato, vi accoglieremo a braccia aperte, come sinceri compagni di lotta. Se invece vorrete restare arroccati nel vostro misero e patetico moderatismo, fateci almeno la cortesia di non dirvi più futuristi. Ci risparmierete così la fatica di definirci “smodatofuturisti” per distinguerci da voi. In fondo, a noi basta essere quello che siamo sempre stati: futuristi!
Ad futurum!
Riccardo Campa (estensore)
Graziano Cecchini (azionatore)
Roberto Guerra (eccitatore)
Antonio Saccoccio (agitatore)
Stefano Vaj (fomentatore)
Post scriptum (ad usum stultorum)
Avete letto attentamente questo manifesto ed ora siete indignati, spaventati, inorriditi. Vi apprestate quindi ad assumere “un atteggiamento di seria preoccupazione” per lanciare un allarme, gridare al lupo, segnalare il pericolo alle persone perbene, sul vostro insignificante blog, giornale o televisione. Ebbene, se questo vi frulla per la mente, perdonateci l’impietosa diagnosi, ma appartenete certamente alla categoria degli imbecilli. Il vostro deficit intellettivo non vi ha permesso di cogliere il carattere semiserio, papiniano, prezzoliniano dello scritto. D’altronde, non si può pretendere che un imbecille capisca dove finisce l’analisi e dove inizia il sarcasmo o l’ironia. Eppure, in questo caso, il compito non era affatto difficile, considerando che siamo partiti dalla critica dei poteri forti per arrivare all’elogio… dei Righeira! Riflettete, se potete, prima di infestare il ciberspazio di ulteriore spazzatura. Il male che vi affligge non è esterno, è dentro di voi. Potete però eliminarlo con un upgrade del cervello, installando un microprocessore e un’espansione di memoria nella corteccia cerebrale. Credeteci: il futurismo smodato può esservi più utile di quanto riusciate a immaginare. Ad ogni buon conto, per voi preghiamo.
Giorno: 11.11.11
Ora: 11:11
VRBE AETERNA,
A. D. III IDVS NOVEMBRES,
MMDCCLXIV A.V.C.
HORA QVINTA ET VNDECIM MINVTIS