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Nel 2030 l’uomo arriverà alla semi-immortalità

Intervista a Gabriele Rossi e Antonella Canonico

Il Giornale - 21 giugno 2009

Stefano Lorenzetto

 

Maurice Chevalier sosteneva che la vecchiaia non è poi così male, considerando qual è l’alternativa. Campò fino a 84 anni. Gabriele Rossi e Antonella Canonico hanno in previsione di andare ben oltre l’arco temporale che fu concesso al celebre chansonnier. Molto, ma molto, più in là dei 120 anni che don Luigi Maria Verzè, fondatore dell’ospedale San Raffaele di Milano, ha promesso a Silvio Berlusconi. E anche, per rifarsi alla Genesi, dei 365 anni di Enoch, dei 777 di Lamech, degli 895 di Maalaleèl, dei 905 di Enos, dei 910 di Kenan, dei 912 di Set, dei 930 di Adamo, dei 950 di Noè, dei 962 di Iared e dei 969 di Matusalemme. Quanto? Conto tondo: «Mille anni». È questo il traguardo che Rossi e la Canonico, insieme dal 1977, marito e moglie dal 1983, si prefiggono. Non sarà l’immortalità, ma è qualcosa che le assomiglia molto. Diciamo Semi-immortalità, come sta scritto sulla copertina del loro libro di 632 pagine pubblicato da Lampi di stampa, con sottotitolo Il prolungamento indefinito della vita, e come si legge nelle prime quattro righe: «Il genere umano a un certo punto della sua storia raggiungerà l’immortalità. Noi siamo convinti che questo momento si stia velocemente avvicinando e che si manifesterà entro la fine di questo secolo». Quando, di preciso? «Entro il 2030 o il 2060».
Non sono due stravaganti buontemponi. Le targhe d’ottone disseminate nel palazzo di via Pattari, dietro il Duomo di Milano, spiegano già molto: «Diagramma. Intelligenza artificiale applicata». È l’azienda di software che Rossi, 50 anni a luglio, ha aperto dopo essersi laureato alla Bocconi. Al centro degli interessi dello studioso vi sono da sempre i metodi e le applicazioni dell’analisi quantitativa, l’elaborazione dei dati, le dinamiche socio-economiche, l’epidemiologia, le nanoscienze, la fisica, la finanza. Dall’inizio degli Anni 80 ha sperimentato le possibilità della tecnologia informatica in molteplici direzioni: la compressione dei dati che ha prodotto i programmi per zippare i file, il riconoscimento visivo, la crittografia, il riconoscimento vocale, gli help desk. A 25 anni ha creato Sistema I, il primo database relazionale italiano. Adesso commercializza Iassicur, l’applicativo leader in Italia per il mercato assicurativo, utilizzato da 100.000 professionisti e da colossi come Allianz-Lloyd.
L’incontro con Antonella Canonico coincide con la nascita dei laboratori di ricerca sull’immortalità, gli Ilabs, polo di ricerca multidisciplinare al quale collaborano matematici, fisici, chimici, informatici, biologi, medici, genetisti, psicologi, filosofi, linguisti, giuristi, economisti e vari istituti di ricerca. Loro scrivono la sigla con la «i» minuscola, iLabs. Sta per immortalità. La moglie di Rossi, 48 anni, originaria di Gavirate (Varese), laureata a pieni voti in psicologia all’Università di Lubiana con una tesi sulla paura della morte, s’è perfezionata nella terapia breve strategica importata in Italia dal professor Giorgio Nardone, allievo della Scuola di Palo Alto. Si occupa di ipnosi, di programmazione neuro linguistica (Pnl), di meditazione, di legami mente-corpo. Da 15 anni collabora con l’Associazione Laura Coviello, un’organizzazione non profit che aiuta i leucemici. Con la psiconeurofisiologia, nata dalle scoperte di Robert Adler, assiste i pazienti oncologici in cura all’ospedale San Gerardo di Monza e al Policlinico di Milano.
«Nessuno conosce il senso della vita», dice Rossi, «ma, se un senso esiste, secondo noi è questo: stiamo partecipando a un gioco. Lo scopo di questo gioco non è altro che la comprensione delle regole del gioco stesso, cioè come funzionano esattamente la nostra mente e il mondo che ci circonda. L’avvicinarci alla soluzione del gioco ci porterà a prolungare la nostra vita indefinitamente». Per Antonella Canonico il gioco cominciò assai male: «Non ho mai saputo chi fosse mio padre. Sono figlia di una ragazza madre che non vedo dall’età di 16 anni, da quando, per sottrarmi alle sue continue violenze psicologiche, le scrissi una lettera di addio e andai a vivere da mia nonna. Una scelta che mi costrinse ad abbandonare gli studi per fare la commessa da Dom, una cristalleria, e da Yves Saint Laurent. Ho dovuto sviluppare fin da piccola un’enorme forza interiore».
Tutti vorrebbero vivere a lungo ma nessuno vorrebbe invecchiare.
«Oggi, per la prima volta nella storia, possiamo affrontare l’argomento su solide basi scientifiche. Un antico romano viveva in media 28 anni, un italiano agli inizi del secolo scorso poco più di 50, alla fine del secondo millennio quasi 80. Se la crescita scientifico-tecnologica si manterrà esponenziale, non è impossibile che qualcuno tra i lettori di questa intervista possa aspirare a vivere centinaia di anni».
Che cosa glielo fa credere e perché prima non era possibile?
«Me lo fanno credere l’intelligenza artificiale, la psiconeuroendocrinoimmunologia, le nanotecnologie e la genetica. Prima degli Anni 50 non esistevano. La mia specializzazione principale è sempre stata l’intelligenza artificiale, cioè la riproduzione delle facoltà cognitive. Capire il pensiero umano è fondamentale per la semi-immortalità, ci consente di smontare le varie rotelline che fanno funzionare quel prodotto del cervello chiamato mente. Con Antonella, che è psiconeurofisiologa, ci siamo convinti che fra qualche anno saremo in grado di curare un rilevante numero di malattie grazie principalmente all’utilizzo della mente. Le malattie hanno sempre tre espressioni: genetica, ambientale e mentale».
Lei: «Non so se la mente generi la malattia. Di sicuro contribuisce a far degenerare lo stato di salute. Dalla mia esperienza posso dire che spesso una diagnosi di tumore arriva a sei mesi da un evento traumatico. Il mio lavoro consiste proprio nel rimappare il pensiero del paziente. Siamo esseri in divenire. La rigidità mentale è morte. Invece la flessibilità mette in moto il riciclaggio cellulare. Prendo in carico i malati di leucemia mieloide al momento della diagnosi e li accompagno fino all’ultimo. Ma su circa 200 casi, solo tre volte l’esito è stato infausto. Tutti gli altri pazienti sopravvivono o hanno avuto una remissione della malattia».
Ho visto che uno degli studiosi che collabora con voi, il fisiologo Viktor Terekhov, risulta nato in un giorno non specificato in un luogo ignoto della Russia. Potrebbe avere 300 anni, è già immortale.
«Se non sono originali, non vengono negli Ilabs. Libertà, indipendenza, rifiuto del dogmatismo contraddistinguono tutti coloro che lavorano con noi, anche quelli che non condividono l’obiettivo della soluzione del gioco. Terekhov è stato uno dei responsabili del centro di addestramento degli astronauti che partecipavano al programma spaziale dell’Urss. Collaboriamo con l’associazione russa Science for life extension, che ha dato il via al progetto Scienza contro l’invecchiamento per modellare accuratamente il fenomeno, spiegarne le cause e infine eliminarlo».

In che modo?
«Il primo passaggio è riuscire a misurare con precisione lo stato di salute di una persona e successivamente gli effetti della mente sul corpo e del corpo sulla mente. Già ora, dalle analisi del sangue, io posso dirle la sua età».
Si fa interessante.
«Dall’ematochimica è possibile determinare se l’età biologica corrisponde a quella cronologica. Gli Ilabs negli ultimi dieci anni hanno raccolto gli esami, ovviamente anonimi, di ben 100 milioni di persone dai 20 ai 100 anni. I 45 valori ematochimici di ciascuno sono stati processati e passati con un algoritmo che produce una curva di probabilità. In pratica i suoi valori relativi a globuli bianchi, globuli rossi, glicemia, azotemia, transaminasi, colesterolo, trigliceridi e via discorrendo fanno sì che lei finisca in una classe di età, poniamo quella giusta, dai 50 ai 54 anni. È una classe riconoscibile da un unico picco che identifica la maggioranza delle persone sane. Se lei finisce in una classe diversa, significa che è biologicamente o più giovane o più vecchio della sua età anagrafica. La cosa stupefacente che abbiamo notato soltanto nelle persone malate è che i picchi diventano due, riguardano due diverse classi di età: bassa, quando il soggetto è in via di guarigione; alta, quando la malattia peggiora. Come se la morte volesse comunicarci che si sta avvicinando».
Scusi tanto, ma già ora molti scienziati sostengono che la Terra, con 6 miliardi e passa di individui, è sovrappopolata. Se la figura con legioni di Matusalemme?
«La nostra opinione è che il progresso tecnologico risolverà la maggior parte degli interrogativi legati alla disponibilità di risorse. Pensiamo che sia stata la natura stessa a prevedere la nostra immortalità. È la scarsa conoscenza che ne abbiamo e la violazione delle sue regole a farci morire giorno dopo giorno».
Ma il guasto improvviso, tipo un aneurisma disseccante dell’aorta, quello come pensate di risolverlo?
«Bene, anche se non benissimo. È la patologia che ha ucciso mio padre, quindi so di che parlo. Con i minirobot che già ora hanno cominciato a perlustrare il corpo umano sarà più facile prevenire e anche riparare».
Siete sicuri che vogliano lasciarvi invecchiare? Nel libro «La libertà della vita», il professor Umberto Veronesi ha scritto che «dopo aver generato i doverosi figli e averli allevati» l’uomo ha finito il suo compito e «occupa spazio destinato ad altri», per cui «bisognerebbe che le persone a 50 o 60 anni sparissero». Altro che 1000 anni.
«Non dirò al professor Veronesi che cosa deve fare. Né lui lo dica a me. Sono convinto che il progresso scientifico e tecnologico da solo non basti e che sia necessario un ulteriore salto culturale per poter raggiungere la semi-immortalità. Da un punto di vista etico la verità dovrà essere il valore primario da cui tutto discende».
Le rivolgerò la domanda che Pilato fece a un prigioniero che di immortalità se ne intendeva: «Quid est veritas?».
«La descrizione del reale. Che lei in questo momento stia prendendo appunti con una penna è sicuramente vero. Che io e Antonella l’altrieri fossimo in barca a Sanremo, altrettanto».
Lei: «La verità è avere uno specchio nel quale osservare senza paura chi siamo. Gli uomini si ammalano di non verità».

Il prolungamento indefinito della vita umana non è di per sé un progetto ambizioso, persino pericoloso?
Lui: «Ambizioso di sicuro. Pericoloso può darsi».
La pretesa d’immortalità non sarà l’ultima arroganza dell’uomo?
«Certo, potrebbe anche esserlo. Noi pensiamo di no».
Come si conciliano i vostri studi con le religioni? Se la vita eterna è questa, non c’è più bisogno dell’altra. Paradiso e inferno sono già qui.
Lei: «Non essendoci categorie logiche sul dopo morte, l’uomo si è sempre appoggiato alle credenze religiose. Secondo noi dopo la morte non c’è proprio nulla».
Allora perché porta al collo un crocifisso?
«È una forma di energia».
Lui: «Di fronte all’idea di un Dio immanente ci troviamo in grande difficoltà, ma non la escludiamo a priori. Abbiamo molti collaboratori credenti e siamo amici di preti e monaci».
Non le hanno detto che Benedetto XVI, nell’enciclica «Spe salvi», ha avvertito l’umanità che vivere sempre, senza un termine, può diventare noioso e alla fine insopportabile?
«La noia in effetti è la più insidiosa delle trappole disseminate sulla strada della semi-immortalità».
Se potesse, lei tornerebbe bambino?
«Sì».
Io no. Perché non riesco ad appassionarmi alle mirabolanti prospettive che mi offrite?
«Quello della noia è un problema che ho dovuto affrontare fin da subito. Mi stanco di tutto in una frazione di secondo».
Però dopo 32 anni non s’è ancora stancato di Antonella.
«Perché cambiamo in continuazione. Abbiamo menti flessibili e uno stile di vita legato al presente. Il nostro orizzonte temporale non va oltre le due ore».
Nel corso degli anni l’uomo ha creduto di poter rallentare l’invecchiamento con gerovital, melatonina, deidroepiandrosterone, ginko biloba, selenio, ginseng, papaya, ma alla fine ha sempre dovuto concludere che la fontana della giovinezza non esiste.
«Non l’abbiamo trovata nemmeno noi. Ma riteniamo possibile trovarla».
Il professor Luigi Grezzana, presidente della Società italiana geriatri ospedalieri, l’altra sera mi illustrava come e perché sia illusorio pensare di prolungare all’infinito la vecchiaia. Mancano gli strumenti per farlo.
«Da quando sono nato faccio cose che, a sentire gli altri, non si potevano fare. La prima è stata comprimere su un dischetto flessibile di appena 32 kilobyte il listino prezzi di una ditta che comprendeva 32.000 articoli. Era il 1981».
L’apoptosi, la morte programmata delle cellule, non è già scritta nei nostri geni?
«È modificabile con la genetica».
Ho letto che la sua formazione è stata influenzata da Friedrich Nietzsche. Ha presente, vero, dove il cervello condusse Nietzsche? A baciare i cavalli nel centro di Torino, a gridare «Io sono Dioniso o Gesù crocefisso» e a cantare canzoni napoletane a Porta Nuova convinto d’essere il re d’Italia.
«Per questo ho sposato Antonella. Non è una battuta: avere uno specchio in cui riflettersi costantemente è indispensabile. Cerco di convivere al meglio con i demoni che ciascuno ha dentro di sé. Ma la paura c’è».
Va bene, l’uomo ha raggiunto la semi-immortalità. Però adesso io tiro fuori un coltello e la ammazzo. In che modo pensa di governare questo scarto in curva della mia mente? Come affronterà la cattiveria?
«Come la follia: è un rischio. Posso risponderle che giro armato? Non ho nulla contro la violenza in senso stretto. Ma sono un non violento che tende dalla propria sopravvivenza. Se sarò costretto a sparare a mia volta, sarà comunque una sconfitta».


Da: Il Giornale - 21 giugno 2009

 

 

 

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